lunedì 31 gennaio 2011

Il campione (D. Storey)

Arthur Machin è grosso. Arthur Machin è forte. Arthur Machin è sfrontato. Sicuro di sé. Sbruffone. Arthur Machin è una seconda linea nata. Lo capiscono tutti non appena fa il provino per la prima squadra di rugby a Primeston, Nord dell’Inghilterra, terra di industrie, miniere e cielo grigio. Ha un fisico come pochi, con la palla in mano sa il fatto suo e possiede un placcaggio devastante.

Inizia così, con sei denti rotti la vigilia di Natale, la storia di un ragazzo nato povero come tanti, durante la guerra, che trova nei campi infangati e nebbiosi un riscatto sociale, ma che fatica a trovare se stesso. Automobili sempre più grandi, televisione, pellicce, ristoranti di lusso, donne, servizi sui giornali e nei notiziari della sera; tutto questo non cancella il senso di inadeguatezza, di casualità, il terrore che la musica possa finire da un momento all’altro.

Ma chi è davvero Arthur Machin? È quello che la gente vuole che sia? Un bestione da circo, rozzo e attaccabrighe, che si esibisce il sabato di fronte a migliaia di spettatori e che poi va in cerca di guai nei club della città? È il cattivo ragazzo che non è? O che è ma non più degli altri.

Nemmeno Arthur lo sa. Tutti gli dicono soltanto che lui è il rugby, “socialmente, o in tutto il resto”.

Il rugby è quello a XIII, della League, già professionistico, dove girano un po’ di soldi. Il dilettantismo resta prerogativa dell’aristocrazia londinese, che non ha un disperato bisogno di sterline e che si convertirà ai contratti milionari soltanto alla fine del XX secolo, provocando un travaso continuo di talenti dalla League alla Union.

L’atmosfera creata da Storey (ex giocatore professionista) è la stessa che si può ritrovare quasi quarant’anni dopo in David Peace e nel suo Red Riding Quartet. Il sangue è solo quello dei pugni e delle ferite, dei denti rotti, va bene, ma riviviamo lo stesso mondo livido di pioggia e di fatica, di miserie familiari e di ricerca di dignità, di una via di fuga da vite che paiono già scritte.

Lo sport diventa il miraggio della notorietà, dell’affrancamento dai lavori usuranti nelle industrie o nelle miniere, della non rassegnazione, del poter avere tutto e subito con l’accondiscendenza della società, perché alle star viene concessa ogni cosa. Ma diventa anche una macchina infernale che ti usa e ti trita, per poi scaricarti alla stessa fermata dove eri salito.

Sullo sfondo plumbeo e fradicio sta il rugby, quello vero. Storey non concede una sola parola alla retorica, agli stereotipi, alla celebrazione di un mito che altri vogliono costruire. Quello che ne esce è un rugby vivo, fremente, necessario, anche corrotto e marcio, ma per questo terribilmente reale e vicino alla vita. Proprio per questo “uno sport meraviglioso. È praticamente l’unico sport da uomini che è rimasto”.




in riferimento a: scrutando nel buio: Il campione (D. Storey) (visualizza su Google Sidewiki)

Il campione (D. Storey)

Arthur Machin è grosso. Arthur Machin è forte. Arthur Machin è sfrontato. Sicuro di sé. Sbruffone. Arthur Machin è una seconda linea nata. Lo capiscono tutti non appena fa il provino per la prima squadra di rugby a Primeston, Nord dell’Inghilterra, terra di industrie, miniere e cielo grigio. Ha un fisico come pochi, con la palla in mano sa il fatto suo e possiede un placcaggio devastante.

Inizia così, con sei denti rotti la vigilia di Natale, la storia di un ragazzo nato povero come tanti, durante la guerra, che trova nei campi infangati e nebbiosi un riscatto sociale, ma che fatica a trovare se stesso. Automobili sempre più grandi, televisione, pellicce, ristoranti di lusso, donne, servizi sui giornali e nei notiziari della sera; tutto questo non cancella il senso di inadeguatezza, di casualità, il terrore che la musica possa finire da un momento all’altro.

Ma chi è davvero Arthur Machin? È quello che la gente vuole che sia? Un bestione da circo, rozzo e attaccabrighe, che si esibisce il sabato di fronte a migliaia di spettatori e che poi va in cerca di guai nei club della città? È il cattivo ragazzo che non è? O che è ma non più degli altri.

Nemmeno Arthur lo sa. Tutti gli dicono soltanto che lui è il rugby, “socialmente, o in tutto il resto”.

Il rugby è quello a XIII, della League, già professionistico, dove girano un po’ di soldi. Il dilettantismo resta prerogativa dell’aristocrazia londinese, che non ha un disperato bisogno di sterline e che si convertirà ai contratti milionari soltanto alla fine del XX secolo, provocando un travaso continuo di talenti dalla League alla Union.

L’atmosfera creata da Storey (ex giocatore professionista) è la stessa che si può ritrovare quasi quarant’anni dopo in David Peace e nel suo Red Riding Quartet. Il sangue è solo quello dei pugni e delle ferite, dei denti rotti, va bene, ma riviviamo lo stesso mondo livido di pioggia e di fatica, di miserie familiari e di ricerca di dignità, di una via di fuga da vite che paiono già scritte.

Lo sport diventa il miraggio della notorietà, dell’affrancamento dai lavori usuranti nelle industrie o nelle miniere, della non rassegnazione, del poter avere tutto e subito con l’accondiscendenza della società, perché alle star viene concessa ogni cosa. Ma diventa anche una macchina infernale che ti usa e ti trita, per poi scaricarti alla stessa fermata dove eri salito.

Sullo sfondo plumbeo e fradicio sta il rugby, quello vero. Storey non concede una sola parola alla retorica, agli stereotipi, alla celebrazione di un mito che altri vogliono costruire. Quello che ne esce è un rugby vivo, fremente, necessario, anche corrotto e marcio, ma per questo terribilmente reale e vicino alla vita. Proprio per questo “uno sport meraviglioso. È praticamente l’unico sport da uomini che è rimasto”.




in riferimento a: scrutando nel buio: Il campione (D. Storey) (visualizza su Google Sidewiki)

domenica 30 gennaio 2011

vittorio

Published with Blogger-droid v1.6.5

vittorio

Published with Blogger-droid v1.6.5

posts

Published with Blogger-droid v1.6.5

posts

Published with Blogger-droid v1.6.5

toward the light

Published with Blogger-droid v1.6.5

toward the light

Published with Blogger-droid v1.6.5

doc fin

Published with Blogger-droid v1.6.5

doc fin

Published with Blogger-droid v1.6.5

Ristorante Osteria La Madonnina a Casalborgone (To)

Commento di Anpan - Voto 7.5 - Data 2011-01-30 - 454
Lo scenario e` un pranzo causa partita di rugby saltata causa neve. Quindi il quasi delirio totale. Alla fine abbiamo optato per un menù completo. Antipasti vari, tra cui una carne cruda ottima, due primi, tagliolini ai funghi ed agnolotti, secondo brasato con verdure, tris di dolci, caffe`, acqua vino (una barbera della casa ottima) per circa 25€ a capoccia. Gentilissimi i gestori ed ottimo il servizio. Bis costanti. Dopo anni che non ci venivamo una piacevole conferma.
Mangiato.it

Ristorante Osteria La Madonnina a Casalborgone (To)

Commento di Anpan - Voto 7.5 - Data 2011-01-30 - 454
Lo scenario e` un pranzo causa partita di rugby saltata causa neve. Quindi il quasi delirio totale. Alla fine abbiamo optato per un menù completo. Antipasti vari, tra cui una carne cruda ottima, due primi, tagliolini ai funghi ed agnolotti, secondo brasato con verdure, tris di dolci, caffe`, acqua vino (una barbera della casa ottima) per circa 25€ a capoccia. Gentilissimi i gestori ed ottimo il servizio. Bis costanti. Dopo anni che non ci venivamo una piacevole conferma.
Mangiato.it

sabato 29 gennaio 2011

Quasi uguali

N.B.: Questo articolo e' spudoratamente copiato da Scrutando Nel Buio, senza il suo beneplacito e chissenefrega.

La prima pagina odierna del più prestigioso quotidiano sportivo francese, l’Equipe.

Una foto enorme esalta la vittoria in semifinale della squadra nazionale di pallamano (campione d’Europa, del mondo e olimpica) che domani metterà in palio il titolo iridato contro la Danimarca.

Una vittoria in semifinale.

Solo un accostamento. Un esempio. Quando le ragazze del tennis hanno vinto per la terza volta la FedCup (impresa mai riuscita agli uomini), massimo trofeo mondiale, che cosa avranno detto la triade di giornali Gazzetta-Corriere-Tuttosport? Allegati commemorativi, pupazzetti a grandezza naturale, mega poster da appendere in camera?

Più o meno. Diciamo meno.

La Gazzetta dello Sport, proprio perché è quella più “sensibile” anche agli altri sport che non sono il calcio, relega la cronaca da San Diego a pagina 43. In prima pagina l’infortunio a Samuel, calciomercato, due gol ed espulsione per Balotelli, che gioca in un campionato estero, Alonso che si classifica terza al gran premio.

Wow! Notizie – queste sì – che non possono aspettare.

Poi ci si lamenta della scarsa visibilità delle discipline minori.

Lasciando stare le frasi fatte sugli sport olimpici dei quali ci si ricorda solamente ogni quattro anni e le relative giaculatorie e solenni promesse di occuparsene di più (sempre in futuro), a livello di tesserati esiste un’altra italia, che spesso vince. Pallavolo, baseball, basket, anche senza voler considerare i progressi del movimento rugbystico che – nonostante la disastrosa gestione politica – ci sono comunque stati.

Esiste un’altra Italia, spesse volte femminile, di cui il giornalismo sportivo (fatto da maschi per i maschi) non si occupa. D’altra parte è uno stato di minorità che si ritrova nella società, nel mondo del lavoro, ancora e purtroppo, nella famiglia. Per non parlare della religione.

Quindi tutto normale. Continuiamo ad esaltarci per i gol del Napoli e gli acquisti del Milan, a gioire se la Juve perde, a gufare contro l’Inter e a tirare motorini in fiamme dal secondo anello (n.b. è verità). Proprio come se il resto del mondo non esistesse.

Ma, d’altra parte, lo sport è lo specchio dello stato di civiltà e di educazione di un paese. Noi siamo ancora al livello delle risse da bar.

Quasi uguali

N.B.: Questo articolo e' spudoratamente copiato da Scrutando Nel Buio, senza il suo beneplacito e chissenefrega.

La prima pagina odierna del più prestigioso quotidiano sportivo francese, l’Equipe.

Una foto enorme esalta la vittoria in semifinale della squadra nazionale di pallamano (campione d’Europa, del mondo e olimpica) che domani metterà in palio il titolo iridato contro la Danimarca.

Una vittoria in semifinale.

Solo un accostamento. Un esempio. Quando le ragazze del tennis hanno vinto per la terza volta la FedCup (impresa mai riuscita agli uomini), massimo trofeo mondiale, che cosa avranno detto la triade di giornali Gazzetta-Corriere-Tuttosport? Allegati commemorativi, pupazzetti a grandezza naturale, mega poster da appendere in camera?

Più o meno. Diciamo meno.

La Gazzetta dello Sport, proprio perché è quella più “sensibile” anche agli altri sport che non sono il calcio, relega la cronaca da San Diego a pagina 43. In prima pagina l’infortunio a Samuel, calciomercato, due gol ed espulsione per Balotelli, che gioca in un campionato estero, Alonso che si classifica terza al gran premio.

Wow! Notizie – queste sì – che non possono aspettare.

Poi ci si lamenta della scarsa visibilità delle discipline minori.

Lasciando stare le frasi fatte sugli sport olimpici dei quali ci si ricorda solamente ogni quattro anni e le relative giaculatorie e solenni promesse di occuparsene di più (sempre in futuro), a livello di tesserati esiste un’altra italia, che spesso vince. Pallavolo, baseball, basket, anche senza voler considerare i progressi del movimento rugbystico che – nonostante la disastrosa gestione politica – ci sono comunque stati.

Esiste un’altra Italia, spesse volte femminile, di cui il giornalismo sportivo (fatto da maschi per i maschi) non si occupa. D’altra parte è uno stato di minorità che si ritrova nella società, nel mondo del lavoro, ancora e purtroppo, nella famiglia. Per non parlare della religione.

Quindi tutto normale. Continuiamo ad esaltarci per i gol del Napoli e gli acquisti del Milan, a gioire se la Juve perde, a gufare contro l’Inter e a tirare motorini in fiamme dal secondo anello (n.b. è verità). Proprio come se il resto del mondo non esistesse.

Ma, d’altra parte, lo sport è lo specchio dello stato di civiltà e di educazione di un paese. Noi siamo ancora al livello delle risse da bar.

giovedì 27 gennaio 2011

Perché gli italiani lo perdonano ancora?

Bella domanda, io non lo faccio. Ma anche di fronte all'evidenza i politici sono diventati così sfrontati ed irrispettosi che non se ne andranno mai. Dobbiamo passare alle mani.
Una volta c'era un po' più di decenza, poi tangentopoli e mani pulite hanno toccato il nervo scoperto, dove era chiaro il rapporto tra politica, imprenditoria e mafia.
Quindi gli imprenditori sono entrati in politica per fermare i giudici, ed ahimeè, ci sono riusciti.
Ed ora non vogliono più andarsene...
Forza povera Italia...

in riferimento a:

"PERCHE' gli italiani tollerano da così tanto tempo tutto quel che ruota intorno a Silvio Berlusconi? Se questo, e in che misura, rappresenti un punto critico per il nostro Paese se lo chiede il New York Times che al tema dedica un ampia discussione nelle pagine "Room for Debate" dell'edizione online."
- Il NYT e il dibattito su Berlusconi "Perché gli italiani lo perdonano ancora?" - Repubblica.it (visualizza su Google Sidewiki)

Perché gli italiani lo perdonano ancora?

Bella domanda, io non lo faccio. Ma anche di fronte all'evidenza i politici sono diventati così sfrontati ed irrispettosi che non se ne andranno mai. Dobbiamo passare alle mani.
Una volta c'era un po' più di decenza, poi tangentopoli e mani pulite hanno toccato il nervo scoperto, dove era chiaro il rapporto tra politica, imprenditoria e mafia.
Quindi gli imprenditori sono entrati in politica per fermare i giudici, ed ahimeè, ci sono riusciti.
Ed ora non vogliono più andarsene...
Forza povera Italia...

in riferimento a:

"PERCHE' gli italiani tollerano da così tanto tempo tutto quel che ruota intorno a Silvio Berlusconi? Se questo, e in che misura, rappresenti un punto critico per il nostro Paese se lo chiede il New York Times che al tema dedica un ampia discussione nelle pagine "Room for Debate" dell'edizione online."
- Il NYT e il dibattito su Berlusconi "Perché gli italiani lo perdonano ancora?" - Repubblica.it (visualizza su Google Sidewiki)

IP-calisse, la fine di internet

Questo dovrebbe spaventarci davvero...

Internet, l'annuncio: "Siamo due miliardi"
Ma lo spazio rischia di finire il 2 febbraio
I dati diffusi dalla agenzia Onu per le telecomunicazioni: in dieci anni si è passati da 250 milioni a due miliardi. E il creatore della Rete rilancia l'allarme: "Mancano poche settimane alla fine degli indirizzi Ip"
di ALESSIO SGHERZA

SEMPRE più persone sono connesse a internet e la rete non può più sopportare questa crescita. Questa situazione è descritta da due dati distinti, ma il cui senso si sovrappone: gli utenti connessi a Internet, fa sapere l'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (Uit), sono oltre due miliardi; anche per questo, il numero di apparecchiature connesse a internet cresce troppo velocemente e lo spazio sta finendo. Tra poche settimane, o anche pochi giorni, gli indirizzi Ip - quella serie di numeri che identificano in maniera univoca un computer connesso alla Rete - saranno terminati.

A lanciare l'allarme è Vinton Cerf, l'uomo considerato il creatore di internet proprio per aver progettato l'infrastruttura tecnologica degli indirizzi Ip. Secondo Cerf rimangono "poche settimane" prima di quella che è stata soprannominata 'Apocalisse degli Ip', che in inglese suona meglio: Ipcalypse. Poche settimane che diventano pochi giorni secondo i calcoli dell'azienda Usa Hurricane Electric 1: sono meno di 30 milioni gli indirizzi disponibili e, al ritmo sostenuto con il quale vengono riempiti, la fine arriverà intorno alle 4 del mattino del 2 febbraio. Fra una settimana.

I dati. Nel 2000 il mondo della Rete era ancora una nicchia, a livello mondiale: solo 250 milioni di persone avevo l'accesso a internet. Oggi quei numeri sono lievitati e hanno superato i 2 miliardi di persone. Questa crescita impetuosa ha ripercussioni sul problema degli Ip, di cui il mondo è affamato.


Dagli anni '80 la crescita è stata continua e tendenzialmente stabile. Ma negli ultimi anni c'è stata un'impennata: più persone, connessioni senza limite di tempo (e quindi indirizzi Ip praticamente fissi) e più apparecchiature - cellulari, smart grid e anche auto intelligenti - online 24 ore al giorno hanno richiesto una 'spesa' in termini di Ip sempre maggiore. Portando al limite del collasso denunciato da Cerf e da molti altri.

Il problema è tecnico, ma le conseguenze sono evidenti. La questione è lo standard IPv4, ideato nel 1977 da Vinton Cerf e nato effettivamente nei primi anni '80. L'IPv4 stabilisce come ogni apparecchio collegato alla rete è identificato e lo fa attraverso una sequenza di numeri come 213.92.87.37: Ogni blocco di cifre ha un valore massimo di 255 che dà vita a 4,3 miliardi di combinazioni possibili.

"E' tutta colpa mia - ha spiegato Vint Cerf in una recente intervista - quando abbiamo pensato al sistema degli indirizzi Ip pensavamo a un esperimento. E pensavamo che 4,3 miliardi di indirizzi per un esperimento bastassero". Per fortuna Internet non è stato solo un esperimento, ma ora bisogna risolvere il problema: "Chi poteva immaginare - continua Cerf - di quanto spazio avremmo avuto bisogno?".

Una soluzione già esiste, ed esiste da anni. Negli anni '90, quando si è capito che Internet non sarebbe stata una bolla, è nata l'evoluzione dell'IPv4: l'IPv6 è una chiave a 128bit (contro i 32 dell'IPv4) e garantisce oltre un miliardo di quadriliardi di combinazioni (ovvero un numero di 38 cifre). Ma i provider di servizi internet e le grandi aziende non si sono ancora messe al passo con i tempi e non tutte sono pronte a implementare il nuovo standard.

Niente paura: al termine della disponibilità, Internet non si spegnerà. Ma si rallenterà il suo ampliamento, alcuni apparecchi potrebbero dover condividere lo stesso indirizzo Ip (e sarebbero indistinguibili dall'esterno) e le performance diminuiranno lentamente. "Gli utenti - spiega Axel Pawlik, managing director del Ripe Cnn, l'ente europeo che gestisce gli Ip - non noteranno effetti nel futuro prossimo". Ma i due standard sono incompatibili quindi "prima o poi si avranno difficoltà a raggiungere siti in IPv6 se

in riferimento a: Internet, l'annuncio: "Siamo due miliardi" Ma lo spazio rischia di finire il 2 febbraio - Repubblica.it (visualizza su Google Sidewiki)

IP-calisse, la fine di internet

Questo dovrebbe spaventarci davvero...

Internet, l'annuncio: "Siamo due miliardi"
Ma lo spazio rischia di finire il 2 febbraio
I dati diffusi dalla agenzia Onu per le telecomunicazioni: in dieci anni si è passati da 250 milioni a due miliardi. E il creatore della Rete rilancia l'allarme: "Mancano poche settimane alla fine degli indirizzi Ip"
di ALESSIO SGHERZA

SEMPRE più persone sono connesse a internet e la rete non può più sopportare questa crescita. Questa situazione è descritta da due dati distinti, ma il cui senso si sovrappone: gli utenti connessi a Internet, fa sapere l'Unione Internazionale delle Telecomunicazioni (Uit), sono oltre due miliardi; anche per questo, il numero di apparecchiature connesse a internet cresce troppo velocemente e lo spazio sta finendo. Tra poche settimane, o anche pochi giorni, gli indirizzi Ip - quella serie di numeri che identificano in maniera univoca un computer connesso alla Rete - saranno terminati.

A lanciare l'allarme è Vinton Cerf, l'uomo considerato il creatore di internet proprio per aver progettato l'infrastruttura tecnologica degli indirizzi Ip. Secondo Cerf rimangono "poche settimane" prima di quella che è stata soprannominata 'Apocalisse degli Ip', che in inglese suona meglio: Ipcalypse. Poche settimane che diventano pochi giorni secondo i calcoli dell'azienda Usa Hurricane Electric 1: sono meno di 30 milioni gli indirizzi disponibili e, al ritmo sostenuto con il quale vengono riempiti, la fine arriverà intorno alle 4 del mattino del 2 febbraio. Fra una settimana.

I dati. Nel 2000 il mondo della Rete era ancora una nicchia, a livello mondiale: solo 250 milioni di persone avevo l'accesso a internet. Oggi quei numeri sono lievitati e hanno superato i 2 miliardi di persone. Questa crescita impetuosa ha ripercussioni sul problema degli Ip, di cui il mondo è affamato.


Dagli anni '80 la crescita è stata continua e tendenzialmente stabile. Ma negli ultimi anni c'è stata un'impennata: più persone, connessioni senza limite di tempo (e quindi indirizzi Ip praticamente fissi) e più apparecchiature - cellulari, smart grid e anche auto intelligenti - online 24 ore al giorno hanno richiesto una 'spesa' in termini di Ip sempre maggiore. Portando al limite del collasso denunciato da Cerf e da molti altri.

Il problema è tecnico, ma le conseguenze sono evidenti. La questione è lo standard IPv4, ideato nel 1977 da Vinton Cerf e nato effettivamente nei primi anni '80. L'IPv4 stabilisce come ogni apparecchio collegato alla rete è identificato e lo fa attraverso una sequenza di numeri come 213.92.87.37: Ogni blocco di cifre ha un valore massimo di 255 che dà vita a 4,3 miliardi di combinazioni possibili.

"E' tutta colpa mia - ha spiegato Vint Cerf in una recente intervista - quando abbiamo pensato al sistema degli indirizzi Ip pensavamo a un esperimento. E pensavamo che 4,3 miliardi di indirizzi per un esperimento bastassero". Per fortuna Internet non è stato solo un esperimento, ma ora bisogna risolvere il problema: "Chi poteva immaginare - continua Cerf - di quanto spazio avremmo avuto bisogno?".

Una soluzione già esiste, ed esiste da anni. Negli anni '90, quando si è capito che Internet non sarebbe stata una bolla, è nata l'evoluzione dell'IPv4: l'IPv6 è una chiave a 128bit (contro i 32 dell'IPv4) e garantisce oltre un miliardo di quadriliardi di combinazioni (ovvero un numero di 38 cifre). Ma i provider di servizi internet e le grandi aziende non si sono ancora messe al passo con i tempi e non tutte sono pronte a implementare il nuovo standard.

Niente paura: al termine della disponibilità, Internet non si spegnerà. Ma si rallenterà il suo ampliamento, alcuni apparecchi potrebbero dover condividere lo stesso indirizzo Ip (e sarebbero indistinguibili dall'esterno) e le performance diminuiranno lentamente. "Gli utenti - spiega Axel Pawlik, managing director del Ripe Cnn, l'ente europeo che gestisce gli Ip - non noteranno effetti nel futuro prossimo". Ma i due standard sono incompatibili quindi "prima o poi si avranno difficoltà a raggiungere siti in IPv6 se

in riferimento a: Internet, l'annuncio: "Siamo due miliardi" Ma lo spazio rischia di finire il 2 febbraio - Repubblica.it (visualizza su Google Sidewiki)

Bondi, la Camera respinge mozioni sfiducia

Sempre più difficile essere italiani, non si riesce neanche a mandare via chi stà distruggendo il patrimonio storico, artistico e culturale del nostro Paese.
Inutile girarci in tondo, la Cultura non e' certo un valore capitalistico, repubblicano, o semplicemente di destra.

"Idv: "Ministro meriterebbe metaforico calcio nel sedere". Il ministro Bondi meriterebbe ''un metaforico calcio nel sedere'', ha detto nel suo intervento il deputato dell'Italia dei Valori Pierfelice Zazzera, scatenando la reazione dei parlamentari della maggioranza. Urla, fischi e parole poco gentili all'indirizzo del dipietrista che in aula ha attaccato il ministro definendolo tra l'altro ''giullare di corte''. "Lei è il peggior ministro della Cultura - ha detto Zazzera -, e disonora il Paese". Il deputato Idv ha poi letto in Aula alcuni stralci di intercettazioni che riguardano i lavori di restauro degli Uffizi. Ha citato testualmente alcuni passaggi, riportando anche una parolaccia, per la quale è stato immediatamente richiamato da Fini."

in riferimento a:

"ROMA - Con 314 no contro 292 sì (due gli astenuti) sono state bocciate alla Camera le mozioni di sfiducia, presentate dall'opposizione, nei confronti del ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi. I presenti al voto erano 608, i votanti 606, la maggioranza richiesta 304."
- Bondi, la Camera respinge mozioni sfiducia Il ministro: "La cultura? Uccisa dalla sinistra" - Repubblica.it (visualizza su Google Sidewiki)

Bondi, la Camera respinge mozioni sfiducia

Sempre più difficile essere italiani, non si riesce neanche a mandare via chi stà distruggendo il patrimonio storico, artistico e culturale del nostro Paese.
Inutile girarci in tondo, la Cultura non e' certo un valore capitalistico, repubblicano, o semplicemente di destra.

"Idv: "Ministro meriterebbe metaforico calcio nel sedere". Il ministro Bondi meriterebbe ''un metaforico calcio nel sedere'', ha detto nel suo intervento il deputato dell'Italia dei Valori Pierfelice Zazzera, scatenando la reazione dei parlamentari della maggioranza. Urla, fischi e parole poco gentili all'indirizzo del dipietrista che in aula ha attaccato il ministro definendolo tra l'altro ''giullare di corte''. "Lei è il peggior ministro della Cultura - ha detto Zazzera -, e disonora il Paese". Il deputato Idv ha poi letto in Aula alcuni stralci di intercettazioni che riguardano i lavori di restauro degli Uffizi. Ha citato testualmente alcuni passaggi, riportando anche una parolaccia, per la quale è stato immediatamente richiamato da Fini."

in riferimento a:

"ROMA - Con 314 no contro 292 sì (due gli astenuti) sono state bocciate alla Camera le mozioni di sfiducia, presentate dall'opposizione, nei confronti del ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi. I presenti al voto erano 608, i votanti 606, la maggioranza richiesta 304."
- Bondi, la Camera respinge mozioni sfiducia Il ministro: "La cultura? Uccisa dalla sinistra" - Repubblica.it (visualizza su Google Sidewiki)